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Disturbi età evolutiva e ruolo dei genitori? Neuropsichiatra: Loro sono alleati e promotori del cambiamento

Speranza: Interlocutori naturali del bambino, vanno coinvolti nei trattamenti
Il 17-18 settembre Congresso Aepea

Storicamente il rapporto tra la neuropsichiatria infantile e i genitori di bambini con problemi psicologici e/o psichiatrici ha avuto fasi molto complesse, ma oggi si può parlare di un nuovo paradigma: “Il genitore non è più responsabile della malattia del figlio ma del suo cambiamento, tanto che nell’autismo è definito ‘aiutante naturale’”. Così Mario Speranza, professore di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Università di Versailles, direttore di un’équipe di ricerca dell’Inserm, presenta in qualità di vicepresidente Aepea (Association européenne de psychopathologie de l’enfent et de l’adolescent) la conferenza internazionale proprio su ‘Il ruolo dei genitori nella psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza: verso un’alleanza rinnovata’, che si terrà in modalità online il 17 e 18 settembre (per informazioni www.aepea.org) e riunirà esperti di moltissimi paesi europei e non solo.

“Bisogna cambiare l’immagine che abbiamo di genitori colpevoli, responsabili del maltrattamento o della cattiva educazione dei figli. In passato l’apice della conflittualità venne raggiunto proprio sul tema della responsabilità dei genitori riguardo l’origine dell’autismo. Probabilmente- spiega il professore- tra le cause si ritrovano posizioni teoriche un po’ caricaturate”. I neuropsichiatri avevano davanti tre differenti situazioni: “I bambini non educabili, ovvero quelli con deficienze intellettuali, e in quei casi era predominante l’aspetto genetico e biologico. I minori con disturbi del comportamento e lì l’ipotesi legata alle competenze genitoriali dal punto di vista educativo era molto forte. Il terzo gruppo afferiva ai maltrattamenti e agli abusi, dove la responsabilità dei genitori primeggiava”. Sulle teorizzazioni intorno all’autismo, invece, ad innescare il conflitto fu “la ‘famosa freddezza delle madri’, ritenute responsabili perché non in grado di leggere i messaggi dei bambini, obbligati a proteggersi da un universo materno anaffettivo”.

Il lavoro di cambiamento è partito quindi dalle proteste delle associazioni di familiari che non si sentivano compresi nelle loro difficoltà dagli psichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza. “Si era rotta l’alleanza e ognuno criticava l’altro- precisa il vicepresidente Aepea- si è originato un movimento che ha visto inizialmente contrapposte la psicoanalisi e le terapie cognitivo comportamentali, considerate più pragmatiche, ma erano chiaramente posizioni caricaturali perché sono migliaia gli psicoanalisti di grande qualità che hanno enormemente aiutato gli autistici. La capacità di trovare strategie concrete di aiuto non è riservata alle terapie cognitivo-comportamentali, perché tutte le terapie possono utilizzare queste strategie”.

Questa nuova esigenza dei genitori ha fatto maturare la necessità di un lavoro congiunto tra professionisti e famiglie, che dagli anni ’70 ha avuto come obiettivo il raggiungimento di un maggior equilibrio tra biologia e ambiente: “Esistono componenti multiple e teorizzazioni sistemiche, nonché la teoria dell’attaccamento, che mostrano l’esistenza di transazioni tra figli e genitori in cui non c’è una linearità di causa ma cicli complessi. Da un lato la vulnerabilità di un bambino che incontra ambienti genitoriali dove è difficile trovare un buon modo per regolarsi, dall’altro bisogna essere dei super genitori per comprendere dei bambini che hanno difficoltà ad esprimere i messaggi sociali, e l’autismo lo ha dimostrato. Una visione transazionale e una più grande complessità hanno cominciato a trasformare il ruolo dei genitori”.

Speranza è chiaro: “I genitori sono gli interlocutori naturali del bambino e, per quanto possano essere loro stessi in difficoltà, sono le persone che hanno la più grande capacità di introdurre un cambiamento nel figlio avendo con lui un legame affettivo essenziale per qualunque cambiamento della relazione. È indispensabile appoggiarsi sui genitori per far emergere la loro conoscenza del bambino”. In questo senso si parla della ‘guidance’: “Ci si occupa dei genitori affinché siano capaci di mettersi in rapporto con il bambino nel modo più adatto. In primis bisogna supportare la mamma e il papà a capire un bimbo che trasmette segnali complessi- ripete ancora il professore- bisogna aiutarli ad identificare i messaggi, sintonizzarsi con questi e strutturare un ambiente adatto”.

La conferenza Aepea promuove un’alleanza rinnovata perché “i genitori sono diventati alleati dei terapeuti e mediatori del cambiamento. Possono essere partner di cura. Nei modelli come la guidance parentale, il Denver o il PACT (Pre-school Autism Communication Therapy (PACT)) si aiutano i genitori a comprendere i comportamenti del bambino, a gestire l’ansia di un piccolo che risponde male, a creare un ambiente più rassicurante, nonché strategie per il sonno e l’alimentazione”. Poi ci sono le terapie di miglioramento delle abilità genitoriali: “I gruppi Barkley per bambini con Adhd sono gruppi di psicoeducazione in cui si spiega la patologia ai genitori, come contenere le crisi di collera e le difficoltà nella gestione delle emozioni. Bisogna aiutare le mamme e i papà ad evitare quei comportamenti erronei che rinforzano il problema”.

I gruppi di psicoeducazione sono previsti anche per i disturbi borderline, i disturbi della personalità emergente. “In questo caso i genitori partecipano come co-terapeuti, perché un padre o una madre che per anni hanno attraversato l’esperienza del figlio hanno acquisito un’esperienza enorme che, se viene strutturata, diventa un potenziatore importante all’interno di questi gruppi. Genitori e professionisti insieme prendono in carico altri genitori che hanno figli con gli stessi problemi. Si crea un’empatia più alta e i messaggi, sia scientifici che operativi, passano in maniera più facile”, garantisce il professore.

L’evento formativo è indirizzato a medici, psicologi e agli stessi familiari. “Nella conferenza sono previsti numerosi atelier ed alcuni sono gestiti dai genitori. Al congresso, inoltre, partecipano tutti i paesi dell’Europa del Sud – Spagna, Grecia, Francia, Svizzera, Belgio, Italia – Israele e alcuni paesi del Maghreb. Sono meno presenti i paesi di cultura anglosassone”, fa sapere Speranza.

“L’Italia punterà sulle terapie familiari e la teoria dell’attaccamento. Dalla Francia arriva la cultura dell’accompagnamento genitoriale e l’attenzione alla perinatalità. Israele presenterà, infine, la resistenza non violenta, un modello sviluppato da Omer Haim che propone dei gruppi di accompagnamento destinati ai genitori in situazione di crisi dell’autorità. Come apprendere strategie di regolazione emotiva che permettono ai genitori di reagire in modo diverso rispetto a quello che provoca il comportamento del bambino? Siamo nell’esperienziale, non solo nel cognitivo”, conclude.